Novità fresche di stampa

Michele Serra, Osso, Feltrinelli edizioni

Questa è la storia di un cane e di un uomo. Il cane è magro, denutrito, spunta all’improvviso come un’apparizione e ha fame, molta fame. L’uomo è un vecchio, è stanco e vive immerso nella solitudine in una casa al confine tra il mondo degli uomini e quello degli animali. Insieme a loro c’è il bosco. Pieno di luci, ombre e cose nascoste. Assomiglia ai sogni, a quello che abbiamo dentro ma a cui non sappiamo dare un nome. Il cane appare e scompare davanti alla casa, proprio come un sogno. Il vecchio vorrebbe avvicinarlo, nutrirlo, prendersi cura di lui. Comincia col dargli un nome: Osso, che gli suggerisce la nipotina. Poi si mette ad aspettare, con una ciotola di cibo appoggiata sul prato. E così, lentamente, i due si studiano, si conoscono. O forse il loro incontro è avvenuto migliaia di anni fa, quando gli uomini cacciavano e vivevano nelle capanne, con la nascita della straordinaria alleanza tra l’uomo e il lupo.

Melania G. Mazzucco, Silenzio. Le sette vite di Diana Karenne, Einaudi

Nelle sue molte vite, Diana Karenne è stata qualsiasi cosa: straniera misteriosa, femme fatale, zingara, cantante, imprenditrice cinematografica, spia, suora strappata al convento, santa, contessa, regina, zarina. Prima che il tempo ne cancellasse ogni ricordo, fra il 1916 e il 1919 è stata soprattutto la piú affascinante diva del cinema muto italiano. Ma non solo. Scrive lei stessa i soggetti dei suoi film, inizia a dirigerli, diventando una delle prime registe cinematografiche della storia, e da un certo punto in poi li produce come imprenditrice. Irrequieta e sfuggente, Diana si destreggia fra aristocratici, diplomatici, produttori dalla fama di banditi, attori a caccia di conquiste, sempre inseguita dal sospetto di essere una spia. Si sposta da Roma a Torino, da Milano a Napoli e Genova. È ammirata dalle spettatrici, che vedono in lei un modello di libertà e indipendenza, e temuta dagli uomini per l’imprevedibilità e gli amori tempestosi. Nulla rivela del suo passato, in nessun luogo mette radici. Crede per prima alle bugie che racconta, fino a creare una realtà alternativa, e una donna nuova: Diana Karenne, appunto. Nel dopoguerra però l’industria del cinema italiano entra in crisi, e nel 1921 Diana si trasferisce a Parigi e poi a Berlino. Lí ci sono gli esuli dalla Russia bolscevica, e la sua origine la costringe a fare i conti con la sua identità. A differenza delle altre stelle del cinema muto, non è tanto il passaggio al sonoro a chiudere la sua carriera di attrice, quanto l’irresistibile desiderio di scomparire, di diventare ancora un’altra donna: la musa mistica e la compagna di un poeta russo a cui sacrificare la sua arte. Sembrava destinata all’oblio, Diana Karenne, ma in questo romanzo, nato come i suoi successi piú memorabili da un’indagine avvincente e lunga anni, Melania Mazzucco ce la restituisce in tutta la sua vitale contemporaneità.

Han Kang, Non dico addio, Adelphi

Un vasto cimitero sul mare. Migliaia di tron­chi d’albero, neri e spogli come lapidi, su cui si posa una neve rada. E intanto la ma­rea che sale, minacciando di inghiottire le tombe e spazzare via le ossa. Da anni questo sogno perseguita la protagonista Gyeong­-ha che, dopo una serie di dolorose separa­zioni, si è rinchiusa in un volontario isola­mento. Sarà il messaggio inatteso di un’a­mica a strapparla alla sua vita solitaria e al­le immagini di quell’incubo: quando In­seon, bloccata in un letto di ospedale, la pre­ga di recarsi sull’isola di Jeju per dare da bere al suo pappagallino che rischia di mo­rire, Gyeong-­ha si affretta a prendere il pri­mo aereo per andare a salvarlo. A Jeju, pe­rò, la accoglie una terribile tempesta di ne­ve e poi un sentiero nell’oscurità dove si perde, cade e si ferisce. È l’inizio di una di­scesa agli inferi, nel baratro di uno dei più atroci massacri che la Corea abbia cono­sciuto: trentamila civili uccisi, e molti altri imprigionati e torturati, tra la fine del 1948 e l’inizio del 1949. Una ferita mai sanata che continua a tormentare le due amiche, pro­prio come aveva tormentato la madre di In­seon, vittima diretta di quel crimine. Tre donne, unite dal filo invisibile della memo­ria, che con determinazione si rifiutano di dimenticare, di dire addio e troncare il lega­me con chi non c’è più. Con la sua scrittura al contempo lirica e implacabilmente pre­cisa, fatta di «istanti congelati in volo che brillano come cristalli», Han Kang riesce a raccontare questa pagina buia della storia, non solo coreana, consegnando al lettore un romanzo doloroso, lucido e poetico – dove la frontiera tra sogno e realtà, tra visibile e invisibile, sfuma fin quasi a svanire. Un ro­manzo che lei stessa ha definito «una can­dela accesa negli abissi dell’anima umana».