#libooksnews2/23
Rachel Linden, Alla fine di una caramella al limone, Garzanti
Secondo una leggenda che si tramanda di generazione in generazione, esistono delle speciali caramelle al limone che possono guidarci sul sentiero giusto, mostrandoci le strade che abbiamo scelto di non percorrere. Lolly, trentatré anni, si sente persa e insoddisfatta. Per questo la saggia zia Gert le appoggia sul palmo della mano tre caramelle a forma di spicchio cosparse di zucchero, insieme a poche, semplici istruzioni: scartarle prima di andare a letto, sorbirle lentamente fino alla fine e appoggiare la testa sul cuscino. Un po’ scettica ma anche curiosa, Lolly segue le indicazioni. Così, all’improvviso, si trova catapultata in un ristorante tutto suo sulla costa inglese. La notte successiva, invece, incontra la madre come se non fosse mai scomparsa, e quella dopo ancora ha una famiglia con il suo primo amore. Ogni volta fa sogni così vividi da sembrare più un’alternativa possibile che il prodotto della sua immaginazione. Ma questi scenari durano il tempo di una caramella e a tutti manca qualcosa, perché ogni scelta comporta una rinuncia. Forse, però, la zia non voleva farle vivere un sogno. Forse, il suo era un invito a osservare il presente con occhi diversi. Perché le nostre scelte passate possono sembrare un po’ aspre, come le caramelle al limone, ma il retrogusto è dolce se troviamo dentro di noi la forza per cambiare il futuro. Una storia di scelte, dove il passato è lo specchio per costruire un futuro più felice. Perché i sogni possono diventare reali e durare più di una caramella. Basta essere capaci di non indugiare nei ricordi e avere il coraggio di riprendere in mano la propria vita.
Alessandro Milan, I giorni della libertà. Storie di chi ha combattuto per l’Italia, Mondadori
Tutto inizia con una pietra d’inciampo vicino casa. Alessandro Milan la scorge in un giorno di ottobre, quasi per caso. Riporta il nome di Angelo Aglieri, impiegato del «Corriere della Sera», arrestato nel maggio 1944 con l’accusa di aver introdotto in redazione una bomba a mano, poi condotto al carcere di San Vittore e da qui deportato al campo di Fossoli. Determinato a ricostruirne la storia, Milan inizia la sua ricerca. A quella vicenda però se ne intrecciano presto molte altre: la storia di chi allora era soltanto un ragazzino, come Sergio Temolo, e perse il padre per mano fascista il 10 agosto 1944 nell’eccidio di piazzale Loreto, o di chi mise a disposizione il proprio coraggio, come Carmela Fiorili, portinaia del palazzo in viale Monza 23 – noto come il «Casermone» -, staffetta partigiana insieme alla figlia, Francesca, e per mesi punto di riferimento sicuro per la resistenza meneghina. Il risultato è un grande affresco di uomini e donne che, pur non conoscendosi, si trovano legati da un filo invisibile, protagonisti e testimoni della Storia. Le loro vite si sfiorarono tra le strade dello stesso quartiere, della stessa città, Milano, sempre più devastata dai bombardamenti e dalle macerie. Quello di Milan è il racconto di una pagina della resistenza milanese, ma anche un racconto universale che, con accuratezza storica e un brillante passo narrativo, restituisce un pezzo di storia del nostro Paese. Un racconto che parte da Milano e si dipana nel resto d’Italia, dal campo di prigionia di Fossoli a Riva del Garda fino alle campagne vicentine di Arzignano. Un racconto che parla di noi, del nostro passato e del nostro presente.
Niccolò Ammaniti, La vita intima, Einaudi
«La paura finisce dove comincia la verità». Maria Cristina Palma ha una vita all’apparenza perfetta, è bella, ricca, famosa, il mondo gira intorno a lei. Poi, un giorno, riceve sul cellulare un video che cambia tutto. Nel suo passato c’è un segreto con cui non ha fatto i conti. Come un moderno alienista Niccolò Ammaniti disseziona la mente di una donna, ne esplora le paure, le ossessioni, i desideri inconfessabili in un romanzo che unisce spericolata fantasia, realismo psicologico, senso del tragico e incanto del paradosso. Niccolò Ammaniti è ritornato più cattivo, divertente e romantico che mai.
Sam Knight, Ufficio premonizioni. Storia dello psichiatra che voleva predire il futuro, Mondadori
Kathleen Middleton, o Miss Middleton per quasi tutti quelli che la conoscono, insegna pianoforte e danza classica in un’anonima casa a schiera nella periferia a nord di Londra. La sua intera vita, fin da bambina, è scandita da singolari premonizioni che ne guidano la direzione. Miss Middleton le paragona a quella sensazione «di conoscere la risposta a un test di ortografia». Accade anche la mattina del 21 ottobre 1966, quando si sveglia con il respiro bloccato in gola e un terribile presentimento. Un’ora più tardi, una valanga di detriti di una miniera di carbone precipita sul villaggio di Aberfan, nel Galles meridionale, travolgendo gli edifici e uccidendo 144 persone, fra cui molti bambini. Coincidenza? Premonizione? Tra i medici e i soccorritori accorsi sul posto c’è anche John Barker, uno psichiatra poco più che quarantenne, con un vivo interesse per le condizioni mentali fuori dell’ordinario e membro della British Society for Psychical Research. Parlando con i testimoni e di fronte a «diversi incidenti strani e toccanti» connessi al disastro, Barker ha presto la sensazione di trovarsi davanti a qualcosa di portentoso. Determinato a esaminare meglio il fenomeno, in quello stesso anno apre un insolito studio: «The Premonitions Bureau», un Ufficio premonizioni. L’obiettivo? Raccogliere quanti più sogni e presentimenti possibili, nella speranza di prevenire calamità future. La rete di informatori che Barker richiama intorno a sé è inaspettatamente numerosa, da impiegati di banca a maestri di ballo. Centinaia di persone le cui visioni sono spaventosamente accurate. Tra questi, anche due «osservatori» in grado di predire con incredibile precisione incidenti di varia natura e omicidi, fino alla premonizione più inquietante: che Barker stesso di lì a poco sarebbe deceduto. Con grande razionalità e una scrittura impeccabile, Sam Knight racconta la storia di un inquietante esperimento ai confini tra scienza e ragione. Una storia vera di follia e meraviglia, scienza e soprannaturale: un viaggio verso gli angoli più remoti e potenti della mente umana.
Daniele Mencarelli, Fame d’aria, Mondadori
Tra colline di pietra bianca, tornanti, e paesi arroccati, Pietro Borzacchi sta viaggiando con il figlio Jacopo. D’un tratto la frizione della sua vecchia Golf lo abbandona, nel momento peggiore: di venerdì pomeriggio, in mezzo al nulla. Per fortuna padre e figlio incontrano Oliviero, un meccanico alla guida del suo carro attrezzi che accetta di scortarli fino al paese più vicino, Sant’Anna del Sannio. Quando Jacopo scende dall’auto è evidente che qualcosa in lui non va: lo sguardo vuoto, il passo dondolante, la mano sinistra che continua a sfregare la gamba dei pantaloni, avanti e indietro. In attesa che Oliviero ripari l’auto, padre e figlio trovano ospitalità da Agata, proprietaria di un bar che una volta era anche pensione, è proprio in una delle vecchie stanze che si sistemano. Sant’Anna del Sannio, poche centinaia di anime, è un paese bellissimo in cui il tempo sembra essersi fermato, senza futuro apparente, come tanti piccoli centri della provincia italiana. Ad aiutare Agata nel bar c’è Gaia, il cui sorriso è perfetta sintesi del suo nome. Sarà proprio lei, Gaia, a infrangere con la sua spontaneità ogni apparenza. Perché Pietro è un uomo che vive all’inferno. “I genitori dei figli sani non sanno niente, non sanno che la normalità è una lotteria, e la malattia di un figlio, tanto più se hai un solo reddito, diventa una maledizione.” Ma la povertà non è la cosa peggiore. Pietro lotta ogni giorno contro un nemico che si porta all’altezza del cuore. Il disamore. Per tutto. Un disamore che sfocia spesso in una rabbia nera, cieca. Il dolore di Pietro, però, si troverà di fronte qualcosa di nuovo e inaspettato. Agata, Gaia e Oliviero sono l’umanità che ancora resiste, fatta il più delle volte di un eroismo semplice quanto inconsapevole. Con “Fame d’aria”, Daniele Mencarelli fa i conti con uno dei sentimenti più intensi: l’amore genitoriale, e lo fa portandoci per mano dentro quel sottilissimo solco in cui convivono, da sempre, tragedia e rinascita.
Amira Ghenim, La casa dei notabili, E/O
Tunisia, anni Trenta. Sullo sfondo di un paese in fermento, alla ricerca della propria identità, si intrecciano le vite e i destini dei membri di due importanti famiglie dell’alta borghesia di Tunisi: la famiglia en-Neifer, dalla rigida mentalità conservatrice e patriarcale, e la famiglia ar-Rassa’, liberale e progressista. Il nucleo attorno al quale ruotano le vicende narrate nel romanzo è una terribile notte di dicembre del 1935, quando la vita in casa en-Neifer è stata sconvolta da un evento che ha condannato per sempre all’infelicità Zubaida ar-Rassa’, la giovane moglie di Mohsen en-Neifer, sospettata di aver avuto una storia d’amore clandestina con Taher al-Haddad, intellettuale di umili origini noto per il suo attivismo in ambito sindacale e in favore dei diritti delle donne. Le vicende di quella notte vengono raccontate in prima persona da undici diversi narratori, membri delle due famiglie, in momenti storici diversi (dagli anni Quaranta ai nostri giorni), in un intreccio di segreti, ricordi, accuse, rimpianti ed emozioni che trascinano il lettore in un appassionante viaggio nelle storie dei singoli e nella Storia del paese. Come in un gioco di scatole cinesi, ogni storia ne contiene altre, e al lettore spetta il compito di mettere insieme i tasselli e ricostruire l’intera vicenda nel tentativo di scoprire cosa è accaduto a Zubaida e come sono andate veramente le cose.