#libooksnews 6/23

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Rosario Pellecchia, Ora che ho incontrato te, Feltrinelli

New York, un venerdì sera di giugno. Zoe e Lorenzo si incontrano nel più assurdo dei modi. Musicista di origine afroamericana cresciuta a blues, lei. Broker romano con il vizio del poker, lui. Non potrebbero essere più diversi, ma subito scatta un’intesa. Lorenzo è in crisi, indebitato fino al collo e minacciato dal tirapiedi di un boss a cui deve una grossa somma, così Zoe gli propone un piano folle: scappare su un vecchio furgone malandato e rubare una favolosa chitarra appartenuta a Robert Johnson, il più grande musicista blues di tutti i tempi. È l’inizio di una rocambolesca avventura on the road attraverso gli Stati Uniti, da Bleecker Street a Manhattan, a Clarksdale, in Mississippi, attraverso scenari mozzafiato e luoghi simbolo del blues. Tra contrattempi e rivelazioni, Zoe e Lorenzo impareranno a conoscersi, riconoscersi e forse ad amarsi.

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Alberto Rollo, Il grande cielo. Educazione sentimentale di un escursionista, Ponte alle Grazie

“Questa è la storia di un uomo di pianura e di metropoli che ha sempre guardato alla montagna per amor di valico, di salita, di cielo. È la storia di come quell’uomo ha sempre sentito il camminare ‘in salita’ come un’avventura che, senza trasformarsi in ‘specialità sportiva’, ha nutrito l’immaginazione e il sentimento. È un’avventura: quella del ‘guardare in sù’, della conquista del cielo a cui siamo appoggiati più di quanto non siamo appoggiati sulla terra; di come le forme ci accompagnano in quel moto ascensionale, di prato in roccia, di bosco in pietraia, di malga in solitudine. È la storia di una educazione sentimentale, ma insieme la storia di come quell’uomo ha imparato a leggere la montagna, non solo attraverso l’apprendimento del cammino ma anche attraverso il filtro della pittura, della musica, della memoria locale, dei racconti orali. Che cosa sia un sentiero, lo si sa quando se ne perdono le tracce. Quell’uomo di pianura e di metropoli lo conosco bene, perché mi somiglia, e somiglia a quanti mi sono stati compagni in quella avventura.” (Alberto Rollo)

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Vera Politkovskaja, Sara Giudice, Una madre. La vita e la passione per la verità di Anna Politkovskaja, Rizzoli

“Mia madre è sempre stata una persona scomoda, non solo per le autorità russe, ma anche per la gente comune. Scriveva la verità, nuda e cruda, su soldati, banditi e civili finiti nel tritacarne della guerra. Parlava di dolore, sangue, morte, corpi smembrati e destini infranti.” Giornalista di “Novaja Gazeta”, uno dei principali quotidiani dell’opposizione russa, Anna Politkovskaja ha raccontato fino alla sua morte la seconda guerra in Cecenia, la corruzione, i delitti e le omertà della Russia di Putin. Il 7 ottobre 2006, quando è stata uccisa nella sua casa nel centro di Mosca, il suo volto è diventato il simbolo della libertà d’espressione. Sua figlia Vera aveva ventisei anni e da quel giorno si è battuta insieme al fratello Il’ja per avere giustizia. Ha vissuto sulla sua pelle tutte le lentezze e le ambiguità della macchina della giustizia russa, le informazioni contraddittorie, le ipotesi più assurde. E soprattutto ha lottato per ricordare la lezione della madre: “siate coraggiosi e chiamate sempre le cose con il loro nome, dittatori compresi”. Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, il cognome Politkovskaja è tornato a essere oggetto di minacce di morte al punto da doversi trasferire in una località segreta con la famiglia. Ha scritto questo libro perché sua figlia, la nipote che Anna non ha mai conosciuto, e il mondo intero possano ricordarsi sempre la storia unica di una donna che non ha mai nascosto il suo dissenso per la politica di Vladimir Putin e che non ha avuto paura di denunciare le violazioni dei diritti umani in Russia compiute da un ex ufficiale del Kgb diventato l’artefice di un minaccioso disegno imperiale.

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Kari Hotakainen, La grande migrazione, Iperborea

Dopo che la globalizzazione ha reso inutile il lavoro agricolo, in un futuro non troppo lontano le campagne sono deserte, mentre l’umanità è stipata in metropoli in cui tutti sono disposti a qualunque compromesso pur di avere il proprio spazio vitale. La classe politica se ne lava le mani e delega la soluzione del problema abitativo al neonato Archivio, un gruppo raffazzonato di Precari affamati, a cui promette un alloggio comodo. Presto fatto, l’Archivio redige un questionario: chi risponde racconta la propria vita e, se è unica e colpisce, si guadagnerà una casa. In fondo, con una storia ben raccontata si può ottenere di tutto. La Precaria Ilona Kuusilehto si ritrova così a dover esaminare le risposte ma, paralizzata dalla sindrome dell’impostore, non sa come valutarle. Eppure di storie incredibili ne legge: dall’intellettuale mitomane al truffatore che accoglie in casa un rifugiato, a una timorata di dio che crede sia tornato Gesù in terra. Una moltitudine di millantatori e ladruncoli in cui è difficile districarsi, tanto che anche la Presidente del governo è ormai prossima al crollo emotivo. Se la passano bene solo gli animali nelle campagne abbandonate, trovando una paradossale e civilissima armonia dopo l’esilio del troll Mumin, che pontificava di marketing e branding. Ironico e corrosivo, “La grande migrazione” racconta la storia rocambolesca di un’umanità che si è persa per strada e annaspa per restare a galla nel mondo invivibile da lei stessa costruito, dicendosi ingenuamente che fosse il migliore possibile.

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Kiran Millwood Hargrave, L’albero della danza, Neri Pozza

In un’estate rovente del 1518, un’estate che porta con sé carestia e siccità, una donna, una figura solitaria e forse impazzita, comincia a danzare nel centro della piazza principale di Strasburgo. Danza per giorni, senza tregua, agitando la testa e dimenando le membra, che sembrano tirate da funi demoniache. È la fame a provocarla, la sete, la ruggine nel pane, forse il diavolo: le autorità, vescovo in testa, si affannano a cercare le cause di quel bizzarro comportamento, per evitare che minacci la vita della comunità. Ben presto, però, alla prima donna danzante se ne uniscono altre, centinaia di donne di tutte le età che si sfiniscono a forza di dimenarsi, senza fermarsi neppure quando sono allo stremo delle forze. Neppure davanti alla morte. Poco distante da lí, nella fattoria dei Wiler, vive Lisbet, con la suocera e il marito. Il suo lavoro è occuparsi delle api, fonte di sostentamento della famiglia. È incinta per l’ennesima volta, la tredicesima, ma in questa occasione, al contrario delle altre, spera che il bambino sopravviva, spera di non sanguinare, di non dover appendere al suo albero l’ennesimo nastro in memoria di un essere umano che non ha mai visto la luce. Nei giorni in cui lei lotta per la sopravvivenza del bambino non ancora nato, fra un marito che non la desidera piú e una suocera che non le ha mai voluto bene, torna dalle montagne Nethe, la cognata in esilio ormai da sette anni per un peccato che non può essere nominato. Un segreto che Lisbet, tuttavia, vuole scoprire a ogni costo. Cosí, mentre in città rimbomba il suono di centinaia di piedi danzanti e di musica mescolata a inutili litanie religiose, Lisbet si trova invischiata in una storia di passioni proibite e inganni, che le insegnerà che cosa significa essere donna nel sedicesimo secolo, epoca di superstizione e di straordinarie scoperte, di pericoli e di paure. Dopo il successo di Vardø. Dopo la tempesta, Kiran Millwood Hargrave narra di una famiglia e dei suoi segreti, ricostruendo con la sua impeccabile prosa una straordinaria vicenda storica che illumina l’ingrato destino toccato spesso alle donne nel corso della Storia.

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